Foto Premi di Merito Studenti ISISS

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martedì 16 marzo 2010

Centralità dello Studente

Lectio Magistralis del prof. Lizzola
“Centralità dello Studente”

Il fatto scolastico è caratterizzato dall’incontro fra generazioni, in cui i ragazzi e le ragazze guardano all’adulto con fiducia rispetto alle promesse di cura che avvertono su di sé fin da piccoli. Questo fatto spesso rimane sullo sfondo quando la scuola diventa istituzione.
Il rapporto fra le generazioni oggi è complesso e questo non è al centro del dibattito intorno alla scuola. Tuttavia noi abbiamo la responsabilità di far crescere una generazione oggi accompagnata dalla fragilità e dall’incertezza: il luogo-scuola deve rendere significativo l’incontro adulti-bambini e costruirsi intorno ad esso. Solo successivamente diventano importanti metodi, didattiche, organizzazioni oppure noi rischiamo di darci una scuola estremamente strutturata ma pochissimo significativa.
Questo rapporto ci obbliga a ripensarci e ridisegnarci anche come adulti disposti a mettersi in discussione, a giocarsi la propria credibilità, a esporsi con i loro saperi, i loro approcci alla realtà ed i loro linguaggi per consentire nuovi inizi. Non c’è “trasmissione” ma consegna, testimonianza di ciò che è l’adulto, disposto ad essere criticato, accolto, parzialmente accolto, cambiato, dentro una elaborazione personale che è nuovo inizio e nuovo sapere, nuovo significato e nuovo futuro.
Gran parte delle ricerche soprattutto sugli adolescenti caratterizzano la scuola o come luogo di riconoscimento o come luogo di abbandono, anche precoce.
L’incontro avviene mediante il riconoscimento della diversità generazionale, di pensiero, di linguaggio e di relazione con il tempo da parte di un mondo adulto che stabilisce un incontro impegnativo con i ragazzi, che non prescrive ma avvia, mostra la strada.
Ogni strada poi non potrà che essere originale, diversa da quella che l’adulto ha percorso, andare oltre l’adulto stesso.
L’adulto è significativo perché racconta di esperienze, di saperi e competenze, di oggetti culturali che sono di un altro tempo, diverso da quello dell’alunno e che vengono consegnati perchè egli possa vivere nel suo tempo in modo attivo, reinterpretando esperienze, saperi e competenze in un confronto interessante.
L’adulto è motivante se ha un’attesa positiva sull’alunno, se si aspetta e sa che l’alunno si avvierà su un percorso suo, che prenderà in mano il mondo, che vedrà gli altri, che guarderà le responsabilità delle tecniche e dei saperi verso il mondo e le persone.
Le discipline sono quindi l’interessante risultato di una storia costruita per leggere la realtà, per cambiarla, per innovare e inventare, per rispondere all’umanità, e l’alunno è atteso come nuovo protagonista a continuare la storia del mondo.
Che esperienza del tempo fanno i ragazzi e le ragazze oggi a scuola?
Quale cooperazione e ricerca di positiva soluzione a situazioni viene realizzata?
Come vivono la relazione fra il proprio tempo di vita ed il tempo del mondo? Come la trasformano in “storia” e narrazione?
Alcune ricerche fra i ragazzi delle scuole professionali, tecniche e dell’apprendistato hanno raccolto racconti delle loro storie tra passato, presente e proiezione del futuro fatte di fotogrammi sequenziali e identità diverse in ambienti diversi, quasi mai raccontate in termini evolutivi, di storia, di senso del tempo, di progetto anche responsabile. A volte ragazzi di 15-18 anni si raccontano già come un fallimento, dentro un destino negativo. Come incrociare e riprovocare queste storie, o quanto meno ascoltarle? La scuola può quanto meno essere il luogo che ascolta! Una storia dentro il proprio tempo di vita comporta di dover scegliere, di dover lasciare andare, di individuare a cosa si è chiamati, nella responsabilità, nell’incontro con altri, attraverso le proprie capacità e competenze. Vivere il proprio tempo comporterà essere se stessi dando rilievo alla qualità del proprio vivere, non solo al raggiungimento dei risultati, al gusto di dare inizio alle cose più che nel prenderle, è l’avventura di essere uomini e donne nel tempo della propria vita: la nascita e la morte, l’amore, il corpo, il desiderio di fare e creare, i cambiamenti…
Se incontri gli adolescenti in questo modo e li incontri attraverso le discipline, quelle stesse discipline diventano ricerca per sé, terreno di crescita per gli studenti. Crescita che dipende dal tempo dell’incontro fra adulti e studenti, dal tempo della conoscenza, dal rapporto con il proprio tempo.
Mai come oggi i bambini, gli adolescenti che sono nelle nostre classi portano elementi di storie, esperienze evolutive, esperienze affettive, responsabilità, saperi e linguaggi, mondi simbolici diversissimi che si costruiscono fuori dalla scuola, non solo tra i nati in continenti e paesi diversi ma anche tra i figli di chi vive nel territorio da generazioni.
Cosa può fare la scuola? Non certo omogeneizzare i punti di partenza: si parte da lì!
Crescendo gli alunni continueranno a portare cose nuove, inedite, accumulate nelle esperienze diverse fuori dalla scuola. Su questo fronte la scuola conta meno. Però continua a contare –e forse per questo val la pena di avere la scuola- perché solo la scuola può far incontrare realmente tutte queste diversità, come spaccato sociale REALE delle diverse infanzie e adolescenze, grazie agli oggetti culturali che la scuola propone e sui quali chiama a lavorare loro. Certo i contenuti disciplinari sono percorsi che non sono più fini in sé, ma prendono valore perché raccontano incontri, tradizioni, domande, perchè interrogano e si confrontano con pensieri e tradizioni familiari per essere elaborati, riconosciuti e condivisi, consentono di scoprire i propri tragitti ed i tragitti degli altri, di costruire impegni, linguaggi, significati, simboli, strumenti comuni. Le differenze diventano allora ricchezza e significatività.
L’insegnante, l’adulto, agisce quindi di rimessa (anziché di trasmissione) per ricomporre, per non separare, per superare le frammentazioni ed i non riconoscimenti reciproci.
Consente di riscoprire la scuola come luogo dell’appartenenza comune di persone che abiteranno lo stesso futuro; luogo che dà gli strumenti per avvicinare la realtà e per disegnare il futuro insieme ad altri, luogo per disegnare le sfide.
Altrimenti i saperi a cosa servono?
Forse i ragazzi fuggono nel virtuale perché non si dà loro modo di esercitare un ruolo attivo con la realtà, da protagonisti che scoprono chi sono nel confronto
La scuola ha la possibilità di offrire tanti sentieri diversi per approssimarsi alla realtà. In sé non hanno grande valore: lo hanno se servono per approssimarsi alla realtà, se rendono esplicita l’esperienza umana che c’è dentro.
Il sapere non è addestramento, non è tecnica raffinata e linguaggio specialistico, non è esperienza cieca, è strada che consente un rapporto col tempo, con l’altro e la realtà, con l’etica e i valori, con le scelte.
Giocare di rimessa consente di incontrare i ragazzi con minore ansia, quell’ansia che prende gli insegnanti che si chiedono il senso di ciò che fanno, che cercano l’aggancio con i ragazzi: si deve pensare che ciò che si consegna ai ragazzi non è esaustivo, è al più significativo, orientativo, corrisponde a segnavia solidi, articolati e culturalmente profondi, fornisce strumenti perché i ragazzi stessi traccino la propria via. Si può concludere un programma e non aver inciso per niente sulla formazione della persona, si può svolgerlo parzialmente e aver dato significato
I programmi sono abbastanza flessibili per consentirci scelte di senso che costruiscano esperienze significative che strumentino i ragazzi a costruirsi percorsi loro.
Spesso sono gli stessi ragazzi che portano percorsi già parzialmente costruiti, se sanno che possono fidarsi a raccontarli. Possono essere messi in comune, ripresi e anche corretti se necessario. Perché questo avvenga devono essere creati i giusti contesti e relazioni in classe, così che il sapere entri, si sviluppi, si confronti, si elabori nel confronto con il sapere adulto e formalizzato.
L’esperienza educativa-didattica dell’insegnante deve essere oggetto di ricerca, personale e nel confronto con altri. Ripensare a ciò che si fa in pratica , alimentare continuamente l’esperienza formativa, riflettere sulla valutazione…le competenze riflessive degli adulti fanno la differenza. Mentre si fa è difficile ripensarsi. Non potendo contare su molte compresenze, per imparare a pensare e a guardarsi un po’ a distanza, forse è utile imparare a scrivere ciò che si fa; si rendono evidenti le sfumature, le differenze, le modalità, le variazioni, gli adattamenti di strategie per interagire con la classe, una messa a fuoco progressiva di ciò che si fa.
Compito della scuola è filtrare, ricomporre, disegnare in modo diacronico l’esperienza tra ciò che viene consegnato dalle generazioni passate e ciò che è sfida per il futuro e disegnare in modo sincronico le interazioni fra le culture e le convivenze. Lo può fare solo per esperienze parziali ma significative, che trasmettano il gusto e la fiducia che si possa fare attraverso la cultura, la scienza, la tecnica, la comunicazione un incontro responsabile tra uomini e donne che camminano verso il futuro. I racconti del passato e i saperi sono esempi di transizioni, di come uomini e donne hanno camminato nel loro tempo, hanno organizzato il loro vivere civile innovando in tanti modi diversi, di quali etiche e modelli hanno messo in campo. Essi incrociano il tempo e vanno verso il futuro.
Se si riesce a delle aperture di possibilità delle indicazioni ministeriali.
Ad esempio: personalizzazione dell’insegnamento. Posso operare individualizzando con una precoce selezione basata sulla differenziazione in base alle capacità personali dei bambini e delle bambine: rispetto il singolo, separato dall’altro, per livelli diversi. Oppure posso pensare che personalizzare significhi far interagire continuamente ragazze e ragazzi in una rete di relazioni che si crea in classe perché possano trovare la propria strada, diventare consapevoli delle proprie capacità e responsabilità muovere l’insegnamento così anche solo per 15 giorni, allora poi l’investimento nello studio avrà uno spessore diverso, non sarà più solo conoscenza che misura, ma una conoscenza che apprezza e che valuta, nel senso che dà valore.
Ma siamo liberi di fare scuola così? Siamo legittimati?Cosa dicono le circolari?
Gli insegnanti non debbono semplicemente “obbedire” a circolari ma possono fare scelte professionali rispetto al senso del fare scuola. Spesso già si insegna così perché le classi ti obbligano a ripensare il proprio quotidiano, la relazione, i contenuti, le didattiche. Si può approfittare, costruiscano la propria iniziativa.
Il recupero non lo faccio su tutto, per qualcuno rinforzo soprattutto ciò che hanno, così che possano giocarsi questi percorsi forti nelle scuole successive e soprattutto perché i ragazzi ottengono un rinforzo positivo rispetto al loro valore, non al disvalore che vivono facendo continuamente rinforzi e recuperi.
L’impegno è a rendere originale e significativa la storia di ogni classe che incontriamo: l’unica obbedienza dovuta è proprio ai ragazzi e alle ragazze che chiamiamo per nome e a cui possiamo dare riconoscimento o negazione.



Martedì 23 marzo ore 17,00
Sala Alabastro Centro Congressi Giovanni XXIII

Viale Papa Giovanni, 106 - Bergamo

Presentazione del libro di Ivo Lizzola

L’educazione nell’ombra

Educare e curare nella fragilità

Carocci Faber

Interviene Prof. Eugenio Borgna


Presiede e coordina Prof. Emilio Gattico

Sarà presente l’Autore



Ivo Lizzola è professore di Pedagogia sociale e di Pedagogia della Marginalità e della Devianza. Preside della Facoltà di Scienze della
Formazione dell’Università degli Studi di Bergamo, dirige il Centro di Ricerca Interdisciplinare Scienze Umane, Salute e Malattia.
Ha operato per anni nel campo delle politiche giovanili, della cura e della difficoltà esistenziale.